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Il settore della farmacia e in particolare la professione del farmacista sta attraversando un momento di profonda crisi, forse come mai prima d’ora. Tanti colleghi, anche quelli più convinti, quelli che immaginavano il loro futuro dietro al banco fin dai tempi dell’università, stanno abbandonando la professione, perché si sentono stanchi, sfiduciati, demotivati da un sistema che sembra non valorizzare più il ruolo del farmacista. Come dargli torto, mi dico. Ma credo anche che la difficoltà non sia un motivo per rinunciare, bensì una sfida da affrontare!
Se penso al mio percorso professionale mi sento in totale controtendenza, una specie di gambero che sceglie di muoversi all’indietro per seguire il proprio istinto. Mentre tanti abbandonano la farmacia per dedicarsi ad altro, io invece ho lasciato altro per il banco della farmacia.
Ho scelto la facoltà di CTF affascinata dalla ricerca, in quel momento mi sembrava che quello fosse il mio mondo, riuscivo ad immaginarmi solo all’interno di un laboratorio, tra provette, microscopi, a studiare, sperimentare, indagare, capire e, magari, scoprire qualcosa di nuovo e di utile. Non avevo mai valutato altre possibilità. Per anni ho avuto questo obiettivo, ho fatto delle esperienze bellissime, ho lavorato in diversi laboratori di ricerca. È stato un percorso affascinante, in cui ho imparato il valore della precisione, della curiosità e del desiderio di innovazione. Eppure ad un certo punto mi sono resa conto che alcuni aspetti non mi piacevano e che mi mancava qualcosa. Alcuni aspetti di quel lavoro non mi appartenevano del tutto, sentivo che c’erano delle parti di me che non stavo esprimendo fino in fondo. Io che avevo sempre detto “la farmacia mai”, non perché la disprezzassi o non riconoscessi l’importanza della professione, ma perché non la sentivo nelle mie corde, ho finito per sceglierla. Non per ripiego, ma l’ho proprio scelta consapevolmente (nonostante sembrasse una follia a tanti). L’ho scelta proprio nel momento in cui la professione sembrava attraversare la sua crisi più profonda.
“Invece di lasciare, io ho scelto di entrare…Che non sia stata davvero una follia?”
A volte mi capita di chiedermelo. Poi, però ricordo il motivo di questa scelta e capisco che scegliere la farmacia, per me, non è stato solo cambiare lavoro ma dare ascolto alla necessità di dare un senso più umano alla mia professione. Sentivo il bisogno di avere un impatto più diretto sulla vita delle persone e di esprimere lati di me che la ricerca non mi permetteva di far emergere.
È stata una follia?
Sono convinta di no. A volte ciò che appare folle agli occhi degli altri è semplicemente il coraggio di seguire la propria vocazione.
“Coloro che ballavano erano considerati pazzi da quelli che non sentivano la musica” Friedrich Nietzsche.
Oggi mi sono imbattuta in questa frase e ho pensato: è proprio così. La follia, a volte, è solo la capacità di vedere ciò che altri non vedono.
Cosa vedo io?
Vedo una professione in profonda trasformazione, ma trasformazione non significa per forza declino. Vedo il farmacista diventare un punto di riferimento nel percorso di cura dei pazienti, un vero e proprio educatore alla salute. Non più solo un esperto di farmaci, ma una figura chiave per il benessere delle persone. Vedo che la professione sta cambiando e con essa si aprono nuove strade, se siamo aperti a vederle e ad accoglierle: dalla telemedicina, alla divulgazione scientifica, alla consulenza personalizzata sul benessere e la prevenzione. Vedo che possiamo portare la nostra esperienza anche fuori dalla farmacia, nei contesti digitali, nelle aziende, nelle scuole. Il nostro ruolo non è statico ma in continua evoluzione, e questo ci dà la possibilità di reinventarci e di essere sempre più presenti nella vita delle persone. Vedo la farmacia come un luogo in cui la scienza incontra le persone ogni giorno e diventa qualcosa di vivo: un consiglio personalizzato, una spiegazione che aiuta a capire meglio una terapia, un supporto per affrontare la malattia con maggiore consapevolezza. Vedo un professionista che non si limita a dare informazioni, ma che costruisce relazioni di fiducia.
Chi varca la soglia della farmacia spesso non cerca solo un farmaco, ma più spesso cerca un confronto, una parola rassicurante, un consiglio che possa fare la differenza. E quando un paziente torna con un sorriso e mi dice “Dottoressa, sono riuscito a cambiare quell’abitudine, a prendermi cura di me”, capisco che il mio ruolo va ben oltre la dispensazione di medicinali.
Allora capisco che è per questo che sono qui. Oggi so che ho scelto di non rinunciare né alla scienza né al rapporto umano, ho scelto di farle convivere…perché se è vero che un consiglio può cambiare un’abitudine, penso che una relazione di fiducia può cambiare una vita.